Esami & Utilities

A

Il 18% degli italiani sono affetti da allergopatie, e la percentuale è in costante aumento

Che cosa è l’allergia

L’allergia è una reazione di difesa eccessiva del sistema immunitario di fronte a sostanze considerate erronea- mente nocive. L’errore avviene nella prima fase di confronto, cioè la sostanza estranea non solo viene riconosciuta come non compatibile con l’organismo ma viene anche “ingigantita” per quanto riguarda la sua pericolosità. Ecco che allora il sistema immunitario opera da un lato una particolare segnalazione dell’estraneo nella sua memoria interna e dall’altro costruisce un numero eccessivo di anticorpi pronti a reagire massicciamente qualora si ripresentasse un nuovo contatto (processo di sensibilizzazione).

Le sostanze allergizzanti

– Gli allergeni inalanti entrano in contatto con l’organismo soprattutto attraverso l’aria respirata. I più comuni e noti sono i pollini delle piante e delle erbe presenti nell’aria da metà gennaio a fine settembre.

– Gli allergeni alimenti entrano in contatto con l’organismo attraverso i cibi o le bevande.

– Gli allergeni contenuti nella puntura di api o altri imenotteri entrato in contatto superando la barriera cutanea.

Quali sono i sintomi

L’allergia può interessare tutte le persone a qualsiasi età e senza differenze di sesso.

Sintomi nasali: starnuti ripetuti, secrezioni acquose nasali, naso chiuso, prurito.

Sintomi  oculari:  prurito, arrossamento, gonfiore, lacrimazione, fastidio alla luce.

Sintomi respiratori: senso di mancanza d’aria, tosse di origine irritativa, respiro affannoso e accorciato.

Sintomi cutanei: prurito, gonfiori, arrossamenti, ponfi.

Sintomo frequente in tutti: la stanchezza e l’irrabilità.

Tutti i sintomi possono presentarsi singolarmente o variamente associati nei casi più gravi.

Non è difficile diagnosticare un’allergia. Esistono test cutanei e sierologici che consentono di identificare la sostanza che in un determinato soggetto provoca la reazione allergica.

Un quadro completo è ottenibile soltanto in combinazione con la valutazione clinica.

In questo Laboratorio la ricerca degli anticorpi viene eseguita utilizzando un test di ultima generazione, dota- to di altissima sensibilità e specificità:

Il test AllergyScreen ALIFAX è un test per la determinazione delle Immunoglobuline E (IgE) allergene specifiche nel siero umano.

La ricerca avviene per gruppi di allergeni così individuati:

  • Alimenti standard Alimenti pediatrici Inalanti
  • Inalanti di 2° livello
  • Inalanti + Alimenti

Altre reazioni allergiche sono causa di altre manifesta- zioni cliniche (dermatiti, anemie, glomerrulonefriti ecc.) e non si accompagnano ad aumento delle IgE circolanti.

Campioni prelevati all’esterno possono essere accettati per esami di laboratorio.
Le determinazioni vengono consegnate in giornata e possono essere eseguite anche in urgenza.

AGA

IgA sono presenti

  • nel 70% di Malattia Celiaca (antigliadina)
  • nel 50% di Dermatite Erpetiforme

 

IgG possono comparire in casi di:

  • intolleranza alle proteine del latte
  • giardiasi
  • enteriti severe
  • malattie infiammatorie croniche dell’intestino

 

ANCA (anticorpi anti-citoplasma ei neutrofili)

Sono anticorpi rivolti contro alcuni costituenti del citoplasma (enzimi contenuti nei granuli primari) dei polinucleati neutrofili e in quelli perossidasi positivi dei monociti circolanti.

Questi anticorpi sono rilevabili mediante la tecnica dell’immunofluorescenza indiretta usando come substrato granulociti neutrofili fissati in etanolo. In base all’aspetto della reazione immunofluorescente, gli ANCA sono stati distinti in due gruppi principali:

  • cANCA che da luogo ad una fluorescenza citoplasmatica diffusa
  • pANCA che da luogo ad una fluorescenza perinucleare

Indicati in:

  • vasculiti sistemiche ove sono presenti molto precocemente
  • nelle GNRP (glomerulonefriti rapidamente progressive) in cui sono presenti nel 90%, essendo di tipo c nei casi con granulomatosi di Wegener e di tipo p nella maggioranza dei casi con micropoliarterite.

ANTI-DNA

La ricerca degli anticorpi anti – Dna può essere:

  • Ricerca anticorpi anti-DNA a doppia elica
  • Ricerca anticorpi anti-DNA denaturato

Sono messi in evidenza con la tecnica dell’immunofluorescenza

Indicati in:

  • Lupus Eritematoso disseminato in cui secondo l’ evolutività della malattia può essere presente in una percentuale variabile dal 1 al 87 %
  • Poliartrite Reumatoide in cui può essere presente dall’ 1 al 6%

ANA (anticorpi anti nucleo)

Evidenziati con immunofluorescenza, si ritrovano in:

  • Lupus eritematoso disseminato 100 %
  • Sindrome di Sjogren 37 %
  • Sclerodermia 60 %
  • Polimiosite 29 %
  • Vasculite necrosante 29 %
  • Mononucleosi infettiva 58 %
  • Epatite infettiva 58 %
  • Fibrosi polmonari 50 %
  • Soggetti con >60  16 %

La positività può trovarsi anche in numero variabile di casi in soggetti con reazioni a farmaci o con emopatie ed anche in un piccolo numero (<4%) dei soggetti normali.

ENA (anticorpi anti antigeni nucleari estraibili)

Sono compresi diversi anticorpi con sigle: SS-A (Ro); SS-B (La) Sm; RNP; Scl-70; Jo-1 ; SM
Si possono ritrovare questi anticorpi nelle seguenti malattie:

  • Lupus eritematoso disseminato in percentuale dipendente dall’evolutività 10-98 %
  • Sclerodermia 5 – 30 %
  • Epatite cronica attiva 40 %

Indicati in:

  • Lupus
  • Poliartriti infiammatorie
  • Vasculiti
  • Sclerodermia
  • Epatiti croniche

 

ATA (anticorpi anti – tiroide)

ANTIMICROSOMI: anticorpi che si fissano a livello dei microsomi citoplasmatici sigla ” TMAB “Indicazioni in:

    • numerose situazioni cliniche che vanno dall’ iper all’ ipo tiroidismo comprendendo anche stati subclinici, apparentemente normali

ANTIPEROSSIDASI ” TPO “
Indicazioni in:

  • numerose situazioni cliniche che vanno dall’iper all’ipo tiroidismo comprendendo anche stati subclinici, apparentemente normali.

  

 ANTITIREOGLOBULINA “TGAB” che si fissano a livello della colloide folllicolare che è costituita praticamente da tireoglobulina.

    Indicazioni in:

  • Tiroidite 60-70 %
  • Tireotossicosi 30-35 %

ANTIRECETTORE DEL TSH

    Indicazioni:

  • Tiroidite 100 %
  • Tireotossicosi 50-100 %

E’ possibile trovare questi anticorpi in corso di malattie autoimmuni che riguardano altri organi (miastenia, anemia di Biermer, malattia di Addison)

APCA (anticorpi anti – cellula parietale gastrica)

Si ritrovano in una piccola percentuale di soggetti sani (<5%) Sono anticorpi diretti contro la mucosa dello stomaco e si ritrovano in:

  • Anemie megaloblastiche 50-100 %
  • In % variabili in malattie autoimmuni di altri organi (tiroide, surrene, pancreas)

AMA (anticorpi anti – mitocondri) Non sono presenti nei soggetti sani. Si trovano con grande frequenza nella:

  • cirrosi biliare primitiva
  • nella sindrome di Sjogren
    piu’ raramente nella epatite cronica attiva

 

APLA (anticorpi antifosfolipidi) Sono di due tipi:

  1. LAC: sono anticorpi diretti contro il complesso protrombina – fosfolipidi ed inibiscono in vitro la coagulazione (allungamento PTT).
  2. ACA: sono anticorpi diretti contro il complesso beta-2 glicoproteina – fosfolipidi e non hanno alcun effetto sulla coagulazione in vitroIn soggetti asintomatici il riscontro di anticorpi LAC può essere riguardata come un fattore di rischio per trombosi.In soggetti asintomatici il riscontro di anticorpi ACA non è correlabile con un incremento di rischio per trombosi.

Anticorpi APLA si possono trovare sia in:

  • Pazienti senza sintomi correlati alla presenza di APLA
  • Bambini in periodo postinfettivo all’incirca nel 30%
  • In HIV infezione
  • In trombosi: venose 35%; stroke dal 10 al 29 % secondo l’età; infarto del miocardio dal 6 al 21 %; by-pass coronarici 20%.
  • Malattie autoimmuni all’incirca nel 25%
  • Adulti asintomatici all’incirca nel 25%
  • Pazienti con sintomi verosimilmente correlati alla presenza di APLA: è questa la SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI “APS” che può essere primitiva (in assenza di evidenti malattie) o secondaria ( in presenza di malattie correlate).

Questa sindrome presenta questi sintomi, singoli o in associazione:

  • trombosi (arteriosa, venosa o microvascolare)
  • morte fetale
  • piastrinopenia

B

Il test del respiro (in inglese breath test) è una tipologia di esami non invasivi grazie ai quali si può  diagnosticare  l’intolleranza alimentare al lattosio o la presenza del batterio Helicobacter pylori.

Questo “test del respiro” si basa sulla somministrazione di lattosio per via orale e sul rilievo di idrogeno nei campioni di aria espirata, raccolti ad intervalli di tempo regolari (30 minuti).

Il Lattosio è lo zucchero presente nel latte, composto da  galattosio e glucosio che vengono scomposti in zuccheri semplici dall’enzima lattasi. Senza questo enzima il Lattosio non può venire scomposto e quindi digerito.

L’intolleranza al lattosio (quindi il deficit di Lattasi) è una forma molto comune, presente in circa il 50% della popolazione mondiale. Circa il 30-40% della popolazione italiana ne è affetta, anche se non tutti i pazienti manifestano sintomi. Esiste una forma congenita ed una forma acquisita:
la forma congenita si può manifestare fin dalla nascita nel lattante, e anche con la crescita e poi nell’adulto; la forma acquisita è secondaria ad altre patologie, acute (salmonellosi, colera, enteriti acute) o croniche intestinali (celiachia, morbo di Crohn, linfomi, enteriti attiniche).

Il test più sicuro ed affidabile per la diagnosi di intolleranza al lattosio è l’H2 Breath Test, che valuta la presenza di idrogeno nell’espirato prima e dopo la somministrazione di 50 gr. di lattosio, prelevando 9 campioni di aria ottenuti facendo soffiare il paziente in una sacca a intervalli regolari (ogni 20 minuti circa), per un tempo di 3 ore circa.

INDICAZIONI CLINICHE

In caso di malassorbimento del Lattosio, dopo l’assunzione di quest’ ultimo, in assenza dell’enzima che deve metabolizzarlo (Lattasi), nell’intestino si verificano processi di fermentazione, con relativo aumento di produzione di H2, che viene assorbito in circolo ed eliminato attraverso i polmoni con il respiro. Nell’intestino in condizioni di normalità si produce un quantitativo minimo di H2; l’aumento di quest’ultimo nell’espirato, dopo l’assunzione di Lattosio, dimostra un mal assorbimento di varia entità (lieve, moderato o grave).

BREATH-TEST AL LATTOSIO :  Preparazione all’esame

Per la corretta esecuzione e per non alterare il risultato del test occorre seguire le istruzioni di seguito riportate:

  1. Non assumere fermenti lattici o lassativi nei 3 giorni precedenti l’esame;
    Dalla mezzanotte precedente al test non mangiare e non fumare.
  2. Presentarsi quindi a digiuno la mattina dell’esame. Si può assumere acqua non gasata.
  3. Durante l’effettuazione del test, il paziente, per non alterare la composizione dell’aria espirata, dovrà rispettare le seguenti indicazioni:
    • non mangiare;
    • non fumare;
    • evitare di allontanarsi dal laboratorio e comunque di eseguire qualsiasi attività fisica;
    • è possibile bere acqua naturale (non gasata) in modiche quantità.

UREA BREATH TEST

Si tratta di un “test del respiro” altamente sensibile e specifico che permette di diagnosticare la presenza o meno di infezione da Helicobacter pylori (Hp), attraverso la somministrazione, per via orale, di urea marcata con C13 (isotopo del carbonio, non radioattivo, presente in natura).

L’Urea Breath-test (test del respiro) sfrutta la capacità del batterio di scindere l’urea. Somministrando una soluzione contenente urea marcata con un isotopo del carbonio (C13) questa viene scissa dall’ureasi nello stomaco con conseguente produzione di CO2 marcata che si ritrova dopo mezz’ora nell’espirato

L’Helicobacter pylori è un batterio Gram negativo spiraliforme che colonizza la mucosa gastrica potendo causare gastrite cronica e ulcera gastro-duodenale. E’ anche considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del cancro gastrico e del linfoma gastrico. La trasmissione di
Helicobacter avviene per via oro-fecale , anche attraverso cibi o acqua, o oro-orale.

INDICAZIONI CLINICHE

Infezioni da Helicobacter pylori; follow-up dopo trattamento eradicante per Helicobacter.

UREA BREATH TEST:  Preparazione all’esame

 1. Essere a digiuno da almeno 8 ore;

2.Non aver assunto antibiotici o chemioterapici da quattro settimane

3.Non aver assunto antiacidi (esclusi Maalox e Gaviscon) da quattro giorni

4.Non aver assunto farmaci inibitori pompa protonica ( omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo, rabeprazolo e ranitidina)  da almeno dieci giorni.

5.Non deve aver fumato dalla mezzanotte

Durante l’effettuazione del test si dovrà  rimanere seduto a riposo senza mangiare, bere e fumare.

C

Il tuo fattore di rischio

I fattori di rischio cardiovascolare sono rappresentati da tutte quelle condizioni proprie di ciascun individuo che aumentano in qualche maniera la sua probabilità di avere una malattia del cuore o dei vasi.

La familiarità può essere riferita al fatto che tra i parenti prossimi (genitori, fratelli, cugini, ecc.) vi siano o vi siano stati dei cardiopatici, dei soggetti che abbiano avuto episodi di ischemia cerebrale o di vasculopatia periferica. Le malattie cardiovascolari sono, come è noto, talmente comuni che è facile rintracciare, qualora la si ricerchi attentamente, nella maggior parte degli individui una condizione di questo genere. Deve ovviamente essere considerata con maggiore attenzione una familiarità per malattie cardiovascolari occorsa in parenti non particolarmente anziani o nel caso in cui molti familiari siano incorsi in questo genere di problemi di salute.

Va precisato, altresì, che in alcuni casi non c’è familiarità per malattie cardiovascolari ma c’è, invece, familiarità per uno o più fattori di rischio: ipertensione, colesterolo alto, diabete, ecc. che possono non avere provocato patologie nei congiunti ma che potrebbero invece favorirle nel vostro caso. Anche la tendenza al sovrappeso può in parte derivare dal proprio corredo genetico ma, in questo caso, è evidente che entrano in gioco anche le abitudini di vita di ciascun individuo (alimentazione, sedentarietà, ecc.).

La familiarità per malattie cardiovascolari non è ovviamente di per sé un fattore di rischio correggibile ma sono proprio le persone con questa storia familiare quelle che devono indagare maggiormente sulle proprie condizioni di salute per essere certi di aver eliminato i fattori di rischio modificabili eventualmente ereditati.

Il rischio globale

La familiarità per malattie cardiovascolari deve essere considerata come un segnale d’allarme che deve spingere a eseguire gli accertamenti necessari all’individuazione dei fattori di rischio cardiovascolare. Una storia familiare positiva in presenza di valori di pressione, di colesterolo e di glicemia ben controllati, in un soggetto in buona forma fisica e non fumatore è certamente meno preoccupante della medesima anamnesi familiare in presenza di uno o più dei fattori di rischio cardiovascolare citati.

In altri termini la familiarità per malattie cardiovascolari deve fungere da stimolo per fare in modo che i fattori di rischio presenti vengano scoperti e corretti… ma attenzione: nel tempo la vostra situazione di salute potrebbe modificarsi, perciò, ogni tanto vale la pena, per esempio, di rimisurare la pressione anche se oggi i valori sono risultati normali…

(modificato da Cuore e Prevenzione  2002)

Questo “test del respiro” si basa sulla somministrazione di lattosio per via orale e sul rilievo di idrogeno nei campioni di aria espirata, raccolti ad intervalli di tempo regolari (30 minuti).

Il Lattosio è lo zucchero presente nel latte, composto da  galattosio e glucosio che vengono scomposti in zuccheri semplici dall’enzima lattasi. Senza questo enzima il Lattosio non può venire scomposto e quindi digerito.

L’intolleranza al lattosio (quindi il deficit di Lattasi) è una forma molto comune, presente in circa il 50% della popolazione mondiale. Circa il 30-40% della popolazione italiana ne è affetta, anche se non tutti i pazienti manifestano sintomi. Esiste una forma congenita ed una forma acquisita:
la forma congenita si può manifestare fin dalla nascita nel lattante, e anche con la crescita e poi nell’adulto; la forma acquisita è secondaria ad altre patologie, acute (salmonellosi, colera, enteriti acute) o croniche intestinali (celiachia, morbo di Crohn, linfomi, enteriti attiniche).

Il test più sicuro ed affidabile per la diagnosi di intolleranza al lattosio è l’H2 Breath Test, che valuta la presenza di idrogeno nell’espirato prima e dopo la somministrazione di 50 gr. di lattosio, prelevando 9 campioni di aria ottenuti facendo soffiare il paziente in una sacca a intervalli regolari (ogni 20 minuti circa), per un tempo di 3 ore circa.

INDICAZIONI CLINICHE

In caso di malassorbimento del Lattosio, dopo l’assunzione di quest’ ultimo, in assenza dell’enzima che deve metabolizzarlo (Lattasi), nell’intestino si verificano processi di fermentazione, con relativo aumento di produzione di H2, che viene assorbito in circolo ed eliminato attraverso i polmoni con il respiro. Nell’intestino in condizioni di normalità si produce un quantitativo minimo di H2; l’aumento di quest’ultimo nell’espirato, dopo l’assunzione di Lattosio, dimostra un mal assorbimento di varia entità (lieve, moderato o grave).

BREATH-TEST AL LATTOSIO :  Preparazione all’esame

Per la corretta esecuzione e per non alterare il risultato del test occorre seguire le istruzioni di seguito riportate:

  1. Non assumere fermenti lattici o lassativi nei 3 giorni precedenti l’esame;
    Dalla mezzanotte precedente al test non mangiare e non fumare.
  2. Presentarsi quindi a digiuno la mattina dell’esame. Si può assumere acqua non gasata.
  3. Durante l’effettuazione del test, il paziente, per non alterare la composizione dell’aria espirata, dovrà rispettare le seguenti indicazioni:
    • non mangiare;
    • non fumare;
    • evitare di allontanarsi dal laboratorio e comunque di eseguire qualsiasi attività fisica;
    • è possibile bere acqua naturale (non gasata) in modiche quantità.

UREA BREATH TEST

Si tratta di un “test del respiro” altamente sensibile e specifico che permette di diagnosticare la presenza o meno di infezione da Helicobacter pylori (Hp), attraverso la somministrazione, per via orale, di urea marcata con C13 (isotopo del carbonio, non radioattivo, presente in natura).

L’Urea Breath-test (test del respiro) sfrutta la capacità del batterio di scindere l’urea. Somministrando una soluzione contenente urea marcata con un isotopo del carbonio (C13) questa viene scissa dall’ureasi nello stomaco con conseguente produzione di CO2 marcata che si ritrova dopo mezz’ora nell’espirato

L’Helicobacter pylori è un batterio Gram negativo spiraliforme che colonizza la mucosa gastrica potendo causare gastrite cronica e ulcera gastro-duodenale. E’ anche considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del cancro gastrico e del linfoma gastrico. La trasmissione di
Helicobacter avviene per via oro-fecale , anche attraverso cibi o acqua, o oro-orale.

INDICAZIONI CLINICHE

Infezioni da Helicobacter pylori; follow-up dopo trattamento eradicante per Helicobacter.

UREA BREATH TEST:  Preparazione all’esame

 1. Essere a digiuno da almeno 8 ore;

2.Non aver assunto antibiotici o chemioterapici da quattro settimane

3.Non aver assunto antiacidi (esclusi Maalox e Gaviscon) da quattro giorni

4.Non aver assunto farmaci inibitori pompa protonica ( omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo, rabeprazolo e ranitidina)  da almeno dieci giorni.

5.Non deve aver fumato dalla mezzanotte

Durante l’effettuazione del test si dovrà  rimanere seduto a riposo senza mangiare, bere e fumare.

CATECOLAMINE,  ACIDO VANILMANDELICO

Tre giorni prima di iniziare la raccolta delle urine delle 24h,  consigliabile una dieta priva di caff, banane, cioccolato, the, frutta secca.

Devono essere sospesi farmaci L-dopa, anti MAO, tetracicline, anfetamine, decongestionanti delle vie nasali.

Il contenitore delle urine delle 24h deve essere tenuto al buio.

“Col termine check-up si intende un’indagine clinica, periodica e sistematica, condotta anche in assenza di sintomi clinici rilevabili.

Lo scopo è di evidenziare precocemente malattie ed eventuali fattori di rischio…

L’attenzione va posta sulla conferma dello stato di salute oltre che sul rilievo di uno stato di malattia. Chi si sottopone volontariamente al check-up tende a risolvere i dubbi che lo vedono portatore di tutta una serie di “attentati statistici” al suo stato di salute, un intimo desiderio di escludere i dubbi e di riconfermare le speranze di cui ognuno è portatore, che si risolve in una maggiore certezza del proprio stato di salute. Altro aspetto positivo della ricerca, sia pure nella negatività dei reperti, è rappresentato dall’individuazione della normalità soggettiva, cioè di quei valori biochimici individuali di base la cui conoscenza può diventare utile anche in caso di comparsa di malattie.

La successiva elencazione di indagini, individuate in rapporto ai potenziali fattori di rischio, tiene conto del cosiddetto check-up standard.

L’elencazione tiene conto altresì di requisiti di essenzialità, rilevanza, utilità diagnostica ed economicità delle singole indagini”.

Per quanto concerne l’eventuale approfondimento con esami di secondo livello (indagini strumentali, esami radiografici, esami ecografici), esso va demandato al giudizio del Sanitario Curante.

 

CHECK – UP «Standard»

 Indagini di laboratorio:

Ematologia

  • Es. emocromocitometico
  • Velocità di sedimentazione
  • Studio emostasi

Ematochimica

  •  Glicemia
  • Azotemia
  • Uricemia
  • Creatininemia
  • Elettroliti
  • Transaminasi
  • Protidogramma
  • Bilirubinemia
  • Fosfatasi
  • FT3 , FT4 , TSH
  • GOT – GPT
  • Colesterolemia totale
  • Colesterolo HDL
  • Colesterolo LDL
  • Trigliceridi
  • Gamma GT
  • PSA (uomo 50 anni)

Citodiagnostica

• Pap – test (nella donna)

Batteriologica

• Urinocoltura

Esame urine

Esame feci: sangue occulto

Il 3% dei Neonati presenta alla nascita difetti lievi o gravi che pregiudicano la vita o la salute.

Una indagine prematrimoniale può evidenziale malattie o tare genetiche e consente la valutazione della trasmissibilità ai figli.

In tutte le coppie,  prima del concepimento,  è consigliabile eseguire:

  • · Gruppo sanguigno
  • · Indagine per talassemia
  • · Ricerca per Rosolia (donna)
  • · Ricerca per Toxoplasmosi (donna)
  • · Ricerca per Citomegalovirus (donna)
  • · Ricerca per Herpesvirus (donna)
  • · Ricerca per Epatite B
  • · Ricerca per Epatite C
  • · Ricerca per Sifilide

 

È inoltre necessario eseguire l’esame dei cromosomi (“mappa cromosomica”) nel caso in cui:

  • una malattia ereditaria è presente in uno dei genitori;
  • la coppia  ha già avuto un nato con  difetto congenito;
  • la donna va incontro ad aborti ripetuti;
  • i genitori siano consanguinei;
  • l’età della donna è superiore a 35 anni;
  • la donna è affetta da malattie croniche (diabete, epilessia, ipertensione).

 

Il tuo fattore di rischio

I fattori di rischio cardiovascolare sono rappresentati da tutte quelle condizioni proprie di ciascun individuo che aumentano in qualche maniera la sua probabilità di avere una malattia del cuore o dei vasi.

Il colesterolo è una sostanza grassa, lipidica, che circola nel sangue e che può essere valutato con un normale prelievo ematico; tutti noi abbiamo bisogno di colesterolo, soprattutto per formare le membrane che ricoprono le cellule e per produrre alcuni ormoni indispensabili alla nostra vita. Il colesterolo entra nel nostro corpo con il cibo, alcuni alimenti ne sono particolarmente ricchi (il rosso dell’uovo), e viene poi assorbito dall’intestino che lo fa arrivare nel sangue. Anche il nostro organismo, a livello del fegato, è in grado di produrre colesterolo ma, ciò che conta è che la produzione e l’eliminazione di questa sostanza siano in equilibrio. Infatti il sangue, circolando in tutto l’organismo, provvede a farlo giungere dove è necessario e i problemi causati dal colesterolo compaiono quando nel sangue c’è troppo colesterolo rispetto alle necessità dell’organismo. Oggi vengono  considerati  valori   ideali   di colesterolo  totale quelli al di sotto dei 190 mg/dl.

Con il prelievo ematico possono  essere misurati i valori di colesterolo totale, cioè di tutto il colesterolo presente nel sangue (viene misurato in genere in milligrammi  di colesterolo per decilitro di sangue) e anche i valori di alcune frazioni del colesterolo che circolano nel sangue attaccate a delle proteine che servono per il trasporto in giro per l’organismo e poi per l’ingresso dentro le cellule. I termini di colesterolo “buono” e di colesterolo “cattivo” si riferiscono alle due principali frazioni che vengono misurate: il colesterolo HDL, detto appunto “buono”, è quello attaccato alle proteine che in inglese vengono chiamate Hight Density Lipoproteins (= lipoproteine ad alta densità). Si tratta del colesterolo che viene portato via, allontanato ed eliminato dall’organismo e, per questo, un valore alto del colesterolo HDL è un fattore positivo; significa che i nostri sistemi “spazzino” stanno funzionando bene nel pulire il nostro sangue. Il colesterolo LDL, legato alle Low Density Lipoproteins (= lipoproteine a bassa densità), è il colesterolo “cattivo” nel senso che è quello che, purtroppo, quando aumenta, finisce col non essere assorbito dal nostro organismo e viene inglobato nelle placche aterosclerotiche. Ciò contribuisce ad ingrandirle e a far progredire la malattia aterosclerotica.

Il rischio globale

Alti livelli di colesterolo circolante nel sangue (con alti livelli di colesterolo totale e di LDL) finiscono col danneggiare i vasi e con l’affaticare il cuore che deve, da un lato, spingere il sangue dentro tubature “incrostate” e, dall’altro, si trova a sua volta ad essere mal irrorato perché anche i suoi vasi, le coronarie, possono essere danneggiate dall’aterosclerosi. Ricordiamo anche che è dalle placche aterosclerotiche piene di colesterolo che possono partire un trombo o un embolo ed esse possono, a loro volta, causare un evento acuto cardiovascolare (che nei casi peggiori può provocare ischemia e quindi infarto del miocardio o ictus cerebrale). Se i vasi  di  un  soggetto   con  colesterolo   alto  sono  anche sottoposti a pressione arteriosa elevata che contribuisce  a danneggiare le pareti del vaso, a iperglicemia (o diabete) che interferisce a sua volta con il benessere dei vasi, ai danni derivanti dal fumo, si comprende perché il rischio di avere il colesterolo alto si aggiunge a quello degli altri fattori di rischio presenti e porta ad un alto rischio cardiovascolare globale sul quale è fondamentale intervenire il più presto possibile.

Oggi la riduzione dell’eccesso di colesterolo può avvalersi di alcuni interventi di tipo dietetico e, nel caso questi non siano efficaci, di alcune terapie farmacologiche sulle quali il vostro Medico potrà esservi di aiuto.

 

(modificata da Cuore e Prevenzione  2002)

D

È l’aumento costante e continuo del tasso di glucosio (“glicemia”) nel sangue sopra i 140 mg% a digiuno oppure sopra i 200 mg% 2 h dopo un pasto.

Come si accerta

Si esegue la determinazione della glicemia su un normale prelievo di sangue e la ricerca della presenza di glucosio nelle urine. Si può anche eseguire per maggiore attendibilità la determinazione della glicemia su campioni prelevati ad orari prestabiliti. Se necessario si può eseguire la determinazione della glicemia dopo carico orale di glucosio. È possibile eseguire anche la determinazione della insulinemia che è l’ormone che consente l’utilizzazione del glucosio.

Quali sono i sintomi

Aumento della sete, bisogno di urinare spesso ed abbondante, senso di fame, perdita di peso. Bisogna far attenzione anche ad altre spie quali una continua debolezza fisica e psichica, stitichezza, irritabilità e diminuzione dell’attività sessuale.

La prevenzione

Sono predisposti i figli o anche i collaterali di diabetici. I fattori ambientali hanno importanza critica: sono infatti errori alimentari, sedentarietà oppure malattie infettive o stress di vario tipo a far comparire i primi sintomi. La prevenzione è pertanto estremamente importante: scoprire per tempo uno stato di prediabete significa poter adottare un regime alimentare adatto ed una vita ordinata sì da controllare ai primi sviluppi la malattia.

Uno stato di prediabete viene evidenziato dalla anormalità della glicemia e/o delle prove da carico dalla presenza di zucchero nelle urine. Importante è un test che consente di svelare eventuali rialzi episodici della glicemia che si sono verificati anche 50-70 giorni prima del giorno in cui la prova viene effettuata (“emoglobina glicosilata”).

L’intestino è oggi considerato il più esteso ed il più importante organo del corpo in quanto secerne una grande quantità e varietà di ormoni in grado di influenzare la fisiologia del nostro organismo; svolge un’importante funzione di trasformazione e metabolizzazione dei vari alimenti ed è in grado di pilotare gran parte delle attività vitali del corpo umano ed animale, grazie alla sua vasta microflora autoctona (“Microbiota  intestinale”). Oggi sappiamo che il “Microbiota intestinale” si modula in quantità e qualità a seconda di quanto e come ci si alimenta. Importanza sempre maggiore, per mantenere il benessere, viene attribuita ai microbi  che albergano  nel nostro corpo oltre che nell’intestino anche nella cute, nell’orofaringe-denti, nella mucosa nasale che, nell’insieme, sono dieci volte più numerosi delle cellule che costituiscono il nostro corpo.

La sopravvivenza dell’uomo e del “Microbiota” sono interdipendenti e la loro trasparente collaborazione crea armonia fisiologica e funzionale.

Questa simbiosi, da cui traggono vantaggio sia l’organismo  sia la microflora, viene definita eubiosi. La flora batterica intestinale può alterarsi e provocare la disbiosi intestinale, una vera e propria malattia, caratterizzata da alcuni sintomi ben definiti:

• cattiva digestione

• gonfiore

• stitichezza alternata a diarrea

• nervosismo e ansia

• stanchezza mattutina

• disturbi del sonno

• candidosi vaginale

• infezioni del cavo orale

• aerofagia ed eruttazioni fastidiose

• intolleranze alimentari

 

Numerose sono le cause di disbiosi:

 

CAUSE ALIMENTARI: diete incongrue, caratterizzate da una carenza di fibre e scarso consumo di vegetali e ricche di generi alimentari raffinati come farine e zucchero, oppure scarsa assunzione di prodotti caseari;

CAUSE JATROGENE: tanti sono i farmaci in grado di creare condizione di disbiosi, soprattutto l’abuso di antibiotici, sulfamidici, corticosteroidi, pillola anticoncezionale, lassativi.

CAUSE INQUINANTI:  i coloranti alimentari, i conservanti ed i pesticidi sono in grado, agendo per un tempo sufficientemente ampio, di creare svariate situazioni patologiche tra cui anche la disbiosi.

CAUSE PATOLOGICHE:  gravi infezioni intestinali e del pancreas;

parassitosi, ecc.

 

Il Disbiosi Test

È possibile  diagnosticare  la disbiosi  intestinale attraverso un test sulle urine, che consente di evidenziare l’eccesso o l’assenza di metaboliti derivati dalle attività metaboliche intestinali. Il disbiosi test rileva la presenza nelle urine di due metaboliti del triptofano: l’indicano e lo scatolo.

Il disbiosi test ci dà anche alcune indicazioni sul tratto dell’intestino che soffre maggiormente di uno squilibrio della flora batterica: se è alterato il valore dell’indicano,  è l’intestino tenue ad essere più sofferente: in questo caso è consigliabile  una supplementazione con un probiotico contenente un ceppo batterico colonizzante soprattutto il tenuo come il lactobacillus acidophilus.

Se invece è lo scatolo ad essere aumentato, il problema è soprattutto a carico dell’intestino crasso, in particolar modo del colon: quindi sarà preferibile una supplementazione con un probiotico che contenga  un  ceppo  batterico  colonizzante  il  colon,  come  per esempio il bifidobacter bifidus.

Se risultano alti entrambi i valori, allora vuol dire che il dismicrobismo riguarda sia l’intestino tenue che crasso: in tal caso si opterà per un probiotico ad ampio spettro, che contenga per esempio sia acidophilus che bifidus.

La terapia probiotica dura di solito tre mesi, a seconda della gravità della disbiosi.

Alla fine della terapia è consigliabile  effettuare un disbiosi  test di controllo, per essere sicuri della normalizzazione dei valori di indicano e scatolo.

In pratica questo test permette di individuare l’entità qualitativa e quantitativa del dismicrobismo  in atto e di monitorare nel tempo l’efficacia della terapia impostata: una sorta di check-up della corretta capacità funzionale del nostro apparato gastroenterico, con la possibilità poi di vedere impostate terapia assolutamente fisiologiche e naturali, in grado di ripristinarne la corretta funzionalità.

 

E

Prolattina – Curva

Renina – Aldosterone

Curva da carico di Glucosio

Curva da carico per Insulinemia

Catecolamine, Acido Vanilmandelico

Idrossiprolinuria

Post Coital Test

GRAVIDANZA: ESAMI ESENTI TICKET  (D.L. 10 settembre 1998)

 

Primo controllo, comunque entro la 13 a settimana

  • Emocromo
  • Gruppo sanguigno
  • Transaminasi ALT-AST
  • Virus Rosolia anticorpi
  • Toxoplasma anticorpi:in caso di IGg negative :Ripetere ogni 30-40 gg fino al parto
  • TPHA:Treponema pallidum anticorpi anticardiolipina
  • HIV1-2:virus immunodeficienza acquisita anticorpi
  • Glucosio
  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura
  • Test di Coombs indiretto:in donne Rh negative a rischio:ripetere alla 34 a e 36 a settimana

 

Tra la 14 a e a la 18 a settimana

  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura

 

Tra la 19 a e la 23 a settimana

  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura
  • Ecografia ostetrica

 

Tra la 24 a e la 27 a settimana

  • Glicemia
  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura

 

Tra la 28 a e la 32 a settimana

  • Emocromo
  • Ferritina: in caso di riduzione del Volume Globulare Medio
  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura
  • Ecografia Ostetrica

 

Tra la 33 a e la 37 a settimana

  • Virus Epatite B antigene (HBV)
  • Virus Epatite C anticorpi (HCV)
  • HIV1-2 : in caso di rischio anamnestico
  • Emocromo
  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura
  • Test di Coombs indiretto:si può ripetere dopo 1° controllo

 

Tra la 38 a e la 40 a settimana

  • Esame urine:in caso di batteriuria:urinocultura

 

Dalla 41 a settimana

  • Ecografia ostetrica :su richiesta dello Specialista
  • Cardiotocografia:su richiesta dello Specialista

F

E’ necessaria indicazione/prescrizione del Sanitario Curante.

Si eseguono dopo le ore 10.00 dal lunedi al venerdi per appuntamento

G

CURVA DA CARICO DI GLUCOSIO

Si effettua con la somministrazione, negli adulti, di 75 gr di glucosio. Vengono effettuati prelievi in condizioni basali prima della somministrazione e a distanza di 30’,60’ 120’ minuti.

In gravidanza viene prescritta una minicurva con prelievi a 0’ e 60’ minuti.

Si deve essere presenti in laboratorio prima delle ore 9.00

I

Il dosaggio dell’indice PHI è indicato nei pazienti con PSA sospetto, il PCA3 indica se è necessaria un’altra biopsia.

La diagnosi e la cura delle malattie tumorali rappresentano ad oggi le sfide più impegnative per la comunità medica scientifica internazionale. In questo contesto, il tumore della prostata è il cancro più frequentemente diagnosticato nell’uomo. Nel 1994 la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia statunitense che monitorizza farmaci e test diagnostici, approvò l’impiego clinico dell’antigene prostatico specifico (PSA) come marcatore per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico. Successivamente il PSA è stato proposto come strumento di screening di massa nei pazienti maschi dai 50 anni di età in poi. Un recente studio multicentrico europeo ha dimostrato come il PSA riduca la mortalità da tumore della prostata fino al 30% nei pazienti seguiti per 15 anni. Il limite del dosaggio annuale del PSA è che molti pazienti eseguono biopsie prostatiche “inutili”, cioè che non identificano alcun tumore e che idealmente dovrebbero essere risparmiate al pazienti.

INDICE PHI – La problematica insorta dopo la valutazione di questi risultati è proprio legata alla limitata capacità del PSA di suggerire in maniera accurata la presenza di un tumore prostatico significativo da un punto di vista clinico. Il PSA, infatti, può risultare elevato e quindi sospetto non solo in presenza di un tumore prostatico vero e proprio, ma anche in casi di ingrandimento benigno della prostata (ipertrofia prostatica) e di infezioni (prostatite). Si tenga anche conto che alcuni uomini con tumore prostatico in atto non hanno livelli elevati di PSA ed è per questo che la visita urologica con esplorazione rettale rimane cardine essenziale nella diagnosi del tumore prostatico. Negli ultimi mesi si sono resi disponibili due importanti marcatori di malattia prostatica che stanno contribuendo a migliorare la capacità diagnostica del PSA. Il primo marcatore è denominato PHI (acronimo della denominazione inglese Prostate Health Index, cioè Indice di salute prostatica) e deriva da un’elaborazione matematica dei dati relativi a tre analisi: PSA totale, PSA libero e [-2]proPSA. Il [-2]proPSA è una frazione della molecola del PSA che viene misurata nel sangue dopo un normale prelievo. Nei pazienti con PSA totale compreso fra 2.5 e 10 ng/mL, i valori dell’indice PHI sono risultati associati alla presenza di una malattia clinicamente significativa. Il dosaggio dell’indice PHI è particolarmente indicato nei pazienti con valore di PSA totale sospetto (cioè superiore a 2,5 ng/ml) che vengono o valutati per la prima volta dall’urologo o che comunque non hanno ancora eseguito biopsie prostatiche. In altre parole il paziente che oggi sta bene e che desidera essere informato sul proprio rischio di avere un tumore della prostata trova nel dosaggio dell’indice PHI il test diagnostico più accurato.

IL PCA3 – Nei pazienti che eseguono le biopsie prostatiche per un dubbio tumorale, nel caso in cui queste risultassero negative, si apre un secondo scenario dove il valore di PSA non sempre risulta efficace nell’aiutare la decisione clinica da prendere, ovvero la necessità di un secondo prelievo bioptico prostatico. In questi casi, il dosaggio di un secondo marcatore, il PCA3, è risultato essere molto utile nell’indicare quali pazienti debbano essere sottoposti a un’ulteriore biopsia. Il PCA3, a differenza dell’indice PHI che necessita di un prelievo di sangue, è un marcatore che viene misurato nelle urine dei pazienti dopo essere stati sottoposti a esplorazione rettale. Il PCA3 ha una espressione 60-100 volte superiore nelle cellule tumorali della prostata rispetto a quelle benigne e un valore elevato nelle urine suggerisce la presenza di un tumore prostatico. Come per il PSA e l’indice PHI, il risultato ottenuto dal test del PCA3 non va interpretato come presenza o assenza di cancro della prostata, ma come un indice di probabilità che aumenta o diminuisce in funzione del valore ottenuto. Il punteggio PCA3 può essere inoltre di aiuto nel prevedere l’aggressività del tumore ed è quindi importante per le conseguenti scelte terapeutiche. In conclusione, l’indice PHI e il PCA3 sono nuovi e promettenti marcatori tumorali nei pazienti con sospetto cancro prostatico. Hanno due ruoli differenti e complementari l’uno all’altro. La valutazione urologica specialistica e l’eventuale esecuzione di una biopsia prostatica rimangono tuttavia elementi fondamentali e insostituibili della cura dei pazienti con malattie della prostata.

di Giorgio Guazzoni (Urologia San Raffaele Turro) e Francesco Montorsi (Urologia San Raffaele sede). Entrambi sono docenti presso Università Vita-Salute San Raffaele Milano
Corriere salute 10 febbraio 2011

IDROSSIPROLINURIA

Il giorno prima di iniziare la raccolta  consigliabile una dieta priva di carne, pesce, dolci ed alimenti contenenti gelatina.

CURVA DA CARICO PER INSULINEMIA

Si effettua con la somministrazione, negli adulti, di 75 gr di glucosio. . Vengono effettuati prelievi in condizioni basali prima della somministrazione e a distanza di 30’,60’ 120’ minuti.

Si deve essere presenti in laboratorio prima delle ore 9.00

L

Che cosa è la cistite

La cistite è un’infiammazione della vescica dovuta a varie cause, molto comune soprattutto nelle donne. Il 20-30% delle donne adulte sviluppa episodi di cistite ogni anno e si stima che il 50% delle donne adulte va incontro ad almeno un episodio di cistite nella propria vita.

Negli uomini la cistite è legata ad episodi di prostate o ad ipertrofia prostatica.

Come si riconosce

Aumentata frequenza delle minzioni;

Bruciore durante la minzione;

Sensazione di stimolo di urine continuo e doloroso;

Sangue nelle urine

 Perché presenti nelle feci batteri che contaminano l’uretra e risalgono verso la vescica per scarsa igiene o per traumi meccanici o per modificazioni ormonali della menopausa.

Fattori di rischio

•Trauma meccanico da rapporti sessuali;

• Scarsa o scorretta igiene utilizzata;

• Utilizzo di assorbenti interni;

• Pantaloni e biancheria eccessivamente aderente ed in un materiale poco traspirante;

• Calcoli delle base vie urinarie;

• Infezioni vaginali.

Cosa fare

Ai primi sintomi eseguire:

– esame delle urine

– urinocoltura con antibiogramma

e rivolgersi al proprio Medico Curante per l’eventuale terapia.

Per prevenire ricordate:

 • Bere molto e spesso per evitare il ristagno dell’urna nella vescica.

• Corretta igiene locale: modalità descritta in “Urinocoltura”.

• Mantenere una buona regolarità intestinale.

• Non indossare indumenti stretti e poco traspirante (meglio il cotone)

• Intensificare misure igieniche durante il ciclo mestruale e dopo i rapporti sessuali.

M

La Microcitemia (Talassemia o Anemia Mediterranea) è sicuramente l’ emopatia ereditaria più diffusa in Calabria interessando, a seconda delle zone, una popolazione tra il 5 e il 19%.

Nella zona del comprensorio lametino la frequenza è all’ incirca del 6.5%, il che fa ritenere che circa 4000-6000 persone sono portatrici del carattere microcitemico. Questa cifra consente di prevedere che, ogni anno, potrebbero nascere nella nostra zona nuovi casi di Morbo di Cooley, che è l’ espressione grave della malattia (necessitando di continue terapie e trasfusioni di sangue).

La Talassemia è, infatti, una malattia ereditaria la cui espressione clinica è nettamente diversa e di diversa gravità a seconda che la tara si erediti da uno solo o da ambedue i genitori: la condizione microcitemica omozigote (ereditata da ambedue i genitori) costituisce la Talassemia major o Morbo di Cooley, mentre la condizione microcitemica eterozigote (ereditata da un solo genitore) costituisce la Talassemia minor e le altre forme ancor meno gravi note sotto il nome di Talassemia minima.

Notevole è l’ importanza di quest’ ultima perché si tratta di soggetti apparentemente sani che hanno però la capacità di trasmettere ai discendenti la tara. Quando entrambi i genitori sono microcitemici il 75% dei figli saranno microcitemici e di questi un terzo nell’ espressione più grave (Morbo di Cooley). Se un genitore è microcitemico e l’altro normale vi è la probabilità del 50% che i figli siano pure microcitemici.

La gravità del Morbo di Cooley e la necessità di definire modesti stati anemici impongono, in presenza di segni sospetti, di ricercare la presenza o meno del carattere microcitemico e, ove in una famiglia fosse rinvenuto un caso di microcitemia, di estendere le indagini a tutti i collaterali ed in particolar modo ai giovani in età di procreare e prima di procreare.

La riduzione dell’ MCV (volume corpuscolare medio eritrocitario) al di sotto di 80 micron cubi,  la  riduzione dell’ MCH (contenuto emoglobinico corpuscolare medio) al di sotto di 27 picogrammi, le alterazioni di forma e volume dei globuli rossi (anisopoichilocitosi), riscontrabili all’ esame emocromocitometrico, se associate a valori di normalità del quadro sideremico,  Debbono far sospettare la presenza di microcitemia.

O

Si tratta di studi biochimici limitati a singoli organi od apparati. Le indagini vengono cioè “mirate” in rapporto a sintomi o ad ipotesi diagnostiche oppure in rapporto alle probabilità statistiche che il Soggetto ha di essere portatore di malattie o di fattori di rischio.

(I Profili Organo – metabolici (Organ Panels) sono tratti da: “Todd-Sanford: Clinical Diagnosis and Management by Laboratoy Methods 17th Edition”).

Anemia

• Emocromo

• Reticolociti

• Sideremia

• Transferrina

• Ferritina

• Tests Microcitemia

 

Cardiopatie (fatt. rischio)

• Colesterolo

• Trigliceridi

• HDL Colesterolo

• Glicemia

 

Coagulazione

• T. Protrombina

• T. Tromboplastina  p.

• Piastrine

• Tempo di emorragia

• Fibrinogenemia

• AT III

 

Collageno – Artrite

• VES

• Uricemia

• PCR

• RT

• Mucoprotidemia

 

 Diabete

• Glicemia (digiuno / 2 h p.p.)

• Sodio

• Potassio

• Colesterolo

• Trigliceridi

• Emoglobina A1

• Insulinemia

 

Ipertensione

• Azotemia

• Creatinina

• Creatinina Clearance

• Sodio

• Potassio

• T3 – T4 – TSH

• Cor tisolo

• Urinocultura

 

Funzionalità  Epatica

• GOT – GPT

• Fosfatasi alcalina

•Gamma GT

Bilirubina

• T. di protrombina

• Protidemia

• Elettroforesi

 

Funzionalità Renale

• Azotemia

• Creatinina

• Creatinina Clearance

• Protenuria 24 h

• Creatinuria 24 h

• Protidemia

• Elettroforesi

• Sodio

• Potassio

• Glicemia

 

Tiroide

• T3

• T4

• TSH

• FT3

• FT4

• TGAB

• TMAB

 

Epatite Markers virali

• HCV

• HAV

• HBs Ag

• HBe Ag

• Anti – HBs

• Anti – HBc

• Anti – HBe

 

Funzionalità Pancreatica

• Amilasi

• Lipasi

• Calcio

• Glicemia

F. Paratiroidi

• Calcio

• Fosforo

• Fosfatasi alcalina

• Protidemia

• Elettroforesi

• Creatinina

• Calcio urinario

• Paratormone

 

Metabolismo Osseo

• Calcemia

• Fosforemia

• Calciuria

• Fosfaturia

• Fosfatasi alcalina

• Osteocalcina

• Calcitonina

• Paratormone

P

Il tuo fattore di rischio

I fattori di rischio cardiovascolare sono rappresentati da tutte quelle condizioni proprie di ciascun individuo che aumentano in qualche maniera la sua probabilità di avere una malattia del cuore o dei vasi.

L’ipertensione  non  dà  quasi  mai  segno  di  sé perché il più delle volte non provoca nessun fastidio: è un nemico subdolo che deve invece essere cercato e curato prima che avvengano fenomeni patologici . È anche vero che numerosi fattori fanno aumentare i valori di pressione arteriosa (ad es. l’ansia, la cefalea), ma questa non è ipertensione arteriosa. Per definizione i valori pressori devono essere misurati in assenza di sintomatologia soggettiva e oggettiva (a meno di casi particolari) per poter capire realmente se il paziente è iperteso o normoteso.

Le terapie

Le terapie dell’ipertensione sono ad oggi vera- mente molto efficaci se assunte con regolarità e costanza. Purtroppo però non curano la causa della malattia, ma agiscono direttamente sui valori di pressione arteriosa. Nel momento in cui la pressione nei vasi scende, i vasi possono riparare i danni che avevano subito in precedenza le loro pareti ed anche il cuore, lavorando  meno, possono nel tempo tornare a funzionare al meglio. Se  però la terapia viene interrotta, la pressione risale e la patologia  torna rapidamente a manifestarsi; per questo, si deve ribadire spesso, che i farmaci per la pressione devono essere assunti con continuità seguendo i consigli del proprio medico.

Il rischio globale

Se avete la pressione alta il vostro sistema cardiovascolare  non è nelle migliori condizioni:  i vasi sono danneggiati dal flusso eccessivo che devono  sostenere  e il cuore  sta lavorando  più delle sue possibilità.

Se per di più danneggiate  i vostri vasi fumando, facendo lavorare di più il vostro cuore perché siete sovrappeso, avete alti livelli dei colesterolo nel sangue che contribuiscono  a far ingrossare le placche aterosclerotiche associate più fattori di rischio cardiovascolare.

In questo caso voi non sommate l’effetto negativo di ciascuno di questi fattori di rischio, ma lo moltiplicate.

Pertanto è chiaro che bisogna intervenire per ridurre il più possibile il vostro rischio globale di ammalarvi di cuore o a livello dei vasi a causa di tutti questi fattori che interagiscono tra loro.

Che cos’è la pressione arteriosa

Il cuore con le sue contrazioni impartisce al sangue una forza che si esprime con una pressione che viene esercitata contro le pareti dei vasi in cui scorre.

La fase in cui il cuore si contrae spingendo il sangue all’interno del sistema arterioso viene denominata SISTOLE. La pressione generata in questo momento, viene pertanto definita PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA.

Durante la fase successiva il ventricolo sinistro si “rilassa” e si riempie di sangue: questa fase è chiamata DIASTOLE. Mancando la spinta del sangue che proviene dal ventricolo sinistro, la pressione arteriosa si riduce: questo valore viene definito PRES- SIONE ARTERIOSA DIASTOLICA.

La pressione arteriosa (prevalentemente sistolica) aumenta con l’età, quale conseguenza principalmente della maggiore rigidità dei vasi arteriosi.

La pressione arteriosa subisce delle variazioni durante la giornata: è più alta al mattino, appena svegliati, si riduce un pò nelle ore successive e tende ad aumentare nuovamente verso sera. Durante il sonno invece, la pressione arteriosa si riduce a valori inferiori rispetto a quelli del giorno.

La pressione arteriosa aumenta inoltre durante uno sforzo fisico e sovente quale conseguenza di fattori emotivi.

Ma quali sono i valori normali di pressione  arteriosa?

I valori normali  di pressione arteriosa devono essere inferiori a 140/90 mmHg

I valori pressori inferiori a 120/80 mmHg sono considerati ottimali

L’aumento della pressione arteriosa

IPERTENSIONE ARTERIOSA è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la pressione che in più rilevazioni è uguale o superiore al valore di 140 mmHg di sistolica (IPERTEN- SIONE ARTERIOSA SISTOLICA) o 90 mmHg di diastolica (IPER- TENSIONE ARTERIOSA DIASTOLICA).

Valori pressori di sistolica compresi tra 140 e 159 mmHg e di diastolica tra 90 e 99 mmHg sono definiti come ipertensione di grado lieve.

Valori pressori di 160-179 mmHg di sistolica o 100-109 mmHg di diastolica rappresentano un’ipertensione di grado moderato. Infine valori uguali o superiori a 180 e 110 mmHg rispettivamente di sistolica e di diastolica costituiscono un’ipertensione di grado severo o grave.

Che disturbi provoca?

Molti ipertesi sono tali senza saperlo e spesse volte lo scoprono durante un controllo medico occasionale. Non a caso gli anglosassoni chiamano l’ipertensione il killer silenzioso. Tuttavia non bisogna sottovalutare alcuni sintomi potenzialmente dovuti all’ipertensione arteriosa quali: mal di testa, ronzio auricolare, disturbi visivi, senso di vuoto alla testa, di instabilità e di vertigine; sensazione di malessere con difficoltà di concentrazione e di memoria; arrossamento del viso; palpitazioni, epistassi.

Qual’è la causa?

Nella stragrande maggioranza dei pazienti non è possibile riscontrare una causa vera e propria dell’ipertensione, che viene pertanto definita essenziale o primitiva. Più raramente sono identificabili malattie specifiche che possono causare ipertensione: malattie renali, malattie endocrine, malattie congenite, ecc…

PROLATTINA – CURVA

I prelievi vengono eseguiti con il Paziente disteso secondo le prescrizioni e con i tempi standard.

Si deve essere presenti in Laboratorio prima delle ore 9.00

R

RENINA-ALDOSTERONE IN ORTOSTATISMO E CLINOSTATISMO

Eseguito il primo prelievo il paziente deve rimanere disteso e rilassato per due ore.

Si deve essere presenti in laboratorio prima delle ore 9.00

S

Secreto Uretrale

Per esame microscopico

al mattino prima di urinare, strisciare su un vetrino la secrezione. Ripetere sul 2° vetrino, riporre nel contenitore.

Per esame colturale

fare assorbire secrezione sul tampone al mattino prima di urinare. Istruzioni per uso tampone: aprire la confezione, prendere il tampone, far assorbire la secrezione sul tampone inserendo nell’uretra per circa 2-3 cm, ruotare delicatamente. Sfilare il tampone dall’uretra ed inserirlo fino in fondo alla provetta contenente il gel, tappare la provetta e consegnare nel più breve tempo possibile (entro le 10.30).

Secreto uretrale e vaginale per Chlamydia (DONNE)

prendere appuntamento in Laboratorio.

Secreto uretrale per Chlamydia (UOMINI)

  • Astenersi dalla minzione nell’ora precedente la raccolta del campione;
  • Introdurre il tampone più piccolo all’interno dell’uretra per 2-3 cm;
  • Ruotare il tampone per 3-5 sec. estrarre;
  • Subito dopo la raccolta del campione agitare vigorosamente il tampone per 15 secondi all’interno della provetta;
  • Tappare la provetta.
  • Consegnare il campione entro 24 ore.

Il tuo fattore di rischio

I fattori di rischio cardiovascolare sono rappresentati da tutte quelle condizioni proprie di ciascun individuo che aumentano in qualche maniera la sua probabilità di avere una malattia del cuore o dei vasi.

L’importanza del controllo del peso corporeo può essere illustrata dal fatto che i soggetti che abbiano il peso ideale sono quelli che a parità di altre condizioni fisiche si ammalano e muoiono meno in qualunque popolazione. L’obeso è un soggetto che presenta un eccesso di tessuto adiposo cioè di grasso. La presenza di tale condizione subisce influenze di tipo genetico (familiarità) ma anche ambientali non sempre facili da distinguere (la mamma in sovrappeso che cucina per tutta la famiglia…).

Una delle modalità più usate dai medici per misurare il peso dei pazienti è il ricorso all’Indice  di Massa Corporea  (BMI)  che si calcola dividendo il peso (in kg) per l’altezza (in metri) elevata al quadrato.

Genericamente   si   può   affermare   che   un soggetto in sovrappeso ha un indice di massa corporea compreso tra 25 e 30 kg/m2  mentre un soggetto obeso ha un indice superiore a  30 kg/m2.

Il rischio globale

I soggetti in sovrappeso e gli obesi tendono ad essere anche ipertesi perché sostanzialmente hanno una massa maggiore di sangue circolante; essi hanno, in genere per motivi dietetici, un’ipercolesterolemia che contribuisce ad una rapida progressione della malattia aterosclerotica; l’insulina, deputata a togliere il glucosio dal sangue, funziona male perché il tessuto adiposo sviluppa una sorta di “resistenza” a questo ormone e, in conseguenza, i soggetti obesi sono predisposti a sviluppare iperglicemia e diabete.

Ovviamente l’associazione di tutti questi fattori porta ad un aumento del rischio cardiovascolare di questa popolazione di individui su cui è particolarmente utile l’intervento correttivo sia attraverso modifiche dello stile di vita (alimentazione, attività fisica, fumo, ecc.) sia attraverso un’appropriata terapia suggerita dal sanitario curante.

T

Test da richiedere dai genitori.

Progetto del Poliambulatorio lametino con l’obbiettivo di evidenziare i portatori del trait beta talassemico.

Test gratuito per i pazienti che compiono 13 anni.

Si parla sempre più spesso di trigliceridi

Che cosa sono?

Sono i “grassi”. Trigliceridi sono burro, olio, grasso della carne (e anche grasso del nostro adipe). Possono essere fluidi come l’olio del pesce, oppure duri e rigidi come il formaggio. viene da domandarsi come possano circolare nel sangue. La natura ha fortunatamente inventato le “lipoproteine”, che consentono di veicolarli in circolo assieme al colesterolo ed altri grassi, senza difficoltà.

Perché i trigliceridi fanno paura?

Perché aumentano in molte condizioni che si associano all’arteriosclerosi: il diabete, l’eccesso di peso, ed anche la pressione alta. Si parla di “sindrome metabolica” quando sono alti i trigliceridi, la pressione, il grasso addominale, la glicemia ed è ridotto il “colesterolo buono” o HDL. Oltre a un quarto dei malati di infarto in Itali ha i trigliceridi alti, la pancia, la pressione alta e l’HDL basso.

Quando preoccuparsi?

In linea di massima i trigliceridi fanno paura (bastano livelli oltre 170 mg/dl) quando si associano alla sindrome metabolica. Nelle persone magre, con pressione bassa, non fumatori e alto colesterolo HDL, anche 200-300 mg/dl sono ben tollerati. E’ opportuno comunque seguire una dieta, per evitare che dall’ipotrigliceridemia si passi al diabete, un fenomeno frequente. Se la trigliceridemia è molto alta, 1000 mg/dl o più, si rischia la pancreatite, un’infiammazione acuta del pancreas, che richiedere la chirurgia.

Perché aumentano i trigliceridi?

I trigliceridi derivano da tutti i grassi della dieta e anche da zuccheri e alcol. In almeno un paziente su tre, la riduzione o la sospensione degli alcolici (compreso il vino) riporta alla norma la trigliceridemia.

Cosa fare?

Molti hanno i trigliceridi alti per motivi genetici; spesso hanno basso colesterolo HDL e forte rischio vascolare.  Per tutti la dieta è indispensabile, con risultati favorevoli in oltre il 50% dei casi. Vanno ridotti nell’ordine: calorie totali, alcol, zuccheri ed anche grassi. Va disegnato un piano alimentare accettabile, dal quale possono risultare anche calo di peso e di pressione. Per chi non risponde alla dieta e presenta alto rischio vascolare si utilizzano i farmaci. I più efficaci sono i fibrati; le statine sono utili quando si associa l’ipercolesterolemia. Di recente buoni risultati, nelle forme moderate, si ottengono con gli acidi grassi n3 del pesce.

U

È un esame che serve per accertare la presenza di microrganismi vivi che sostengono una infezione delle vie urinarie.

L’urinocoltura è indicata per:

1) disturbi dell’urinazione (bruciori, dolori, minzioni frequenti) con o senza febbre;

2) temperatura febbrile senza apparente giustifica- zione associata o no a dolori addominali e/o lombari;

3) coliche addominali ripetute;

4) in età pediatrica, disturbi gastroenterici ricorrenti;

La diagnosi  di infezione delle vie urinarie non può più essere formalizzata in assenza di una urinocoltura significativa.

A tal fine è necessario che:

1) ogni eventuale terapia antibiotica in corso venga interrotta 3-4- giorni prima dell’esame;

2) i genitali esterni vengano accuratamente lavati con acqua e sapone (estendendo il lavaggio alla regione sovrapubica,  perineale e perianale nelle donne), sciacquati con acqua sterilizzata (portata ad ebollizione per 10’) ed asciugati. Se si adoperano antisettici (sotto forma di lavande o similari), attenzione a che gli eccessi vengano eliminati con abbondante acqua;

3) venga raccolta  per  l’esame l’urina  alla prima minzione del mattino eliminando il getto di urine che si ha all’inizio della minzione e raccogliendo il getto intermedio in un contenitore sterile;

4) il  contenitore  venga  portato  al  più  presto  in Laboratorio.  Ove ciò fosse impossibile,  conservare fino al trasporto a 4-8° C (temperatura di frigorifero).

Nei bambini si può adoperare il sacchetto sterile adeso ai genitali che va raccolto subito dopo la minzione.

 

Interpretazione dei risultati

NEGATIVO:  – assenza di crescita;

– presenza  di  un  solo  germe  con crescita di un numero di colonie inferiore a 10.000 per ml di urina.

 

POSITIVO:   – presenza di uno solo germe;

– crescita di un numero di colonie pari o  superiore  a  100.000  per  ml  di urina.

 

Alcuni casi non ben definiti vengono interpretati come «DUBBI»: l’esame va ripetuto a distanza di 3-4 giorni.

 

In presenza di una urinocoltura  positiva, al fine di prevenire recidive e/o reinfezioni, è necessario accertare con urinocolture ripetute che l’urina dopo il trattamento sia ritornata sterile; ciò è particolarmente importante in pazienti diabetici, ipertesi, anemici, nefropatici.

Chisura ferie estive 2023

Si informano gli utenti che il nostro Poliambulatorio resterà chiuso tutti i sabati del mese di agosto e nei giorni dal 14 al 16 agosto. 

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